Da Caregiver a Persona Senza Dimora

E’ successo a Mario

Mario è stato un figlio esemplare. Di quelli che non si tirano mai indietro. Neppure quando la fatica diventa peso, neppure quando prendersi cura significa rinunciare a tutto, perfino al lavoro.
Ma per capire davvero il suo cammino, bisogna tornare all’inizio.

La famiglia di Mario aveva una piccola falegnameria, una di quelle realtà artigiane dove il profumo del legno si mescola ai sogni, al sudore, al tempo. Mario si occupava della parte commerciale e amministrativa, con passione e senso di responsabilità. Poi, la vita ha cominciato a cambiare ritmo. Prima l’esaurimento del padre, poi la demenza che ha offuscato il volto della madre. E Mario ha dovuto scegliere.
Non poteva più dividersi tra l’azienda e la cura dei suoi genitori. Così, chiude la bottega di famiglia e diventa – con tutto sé stesso – quello che oggi chiamiamo un caregiver. Ma le cure costano. E allora Mario mette un’ipoteca sulla casa, vende quel che può. Alla fine, quando i genitori se ne vanno, lui resta solo, senza casa e senza lavoro.
 
Mario fortunatamente riesce a non finire in strada ma a farsi accogliere in centri di prima accoglienza e, dopo 6 mesi, nel nostro centro di accoglienza Clemente Papi. È qui che comincia una nuova parte della sua storia.
 
Mario, come è stato il passaggio dai centri di prima accoglienza al centro clemente Papi?
Per come sono fatto io in Cena dell’Amicizia ho trovato due aspetti per me fondamentali; la pulizia e le regole per una convivenza pacifica. Non solo qui facciamo noi le pulizie ma in generale c’è una attenzione a questo aspetto che negli altri centri mancava. Idem per le regole…è difficile far convivere tante persone spesso molto diverse tra loro e penso che le regole siano fondamentali per dare benessere a tutti.
 
Cosa caratterizza secondo te Cena dell’Amicizia?
Qui ho trovato molto calore umano e una responsabilità del fare. Essere accolti non significa stare seduti sulla sedia tutto il giorno ma darsi da fare ed essere aiutato in questo. Qui non si è ospiti passivi, si è protagonisti di un percorso. Io mi sono dedicato molto alla cura dell’orto di Cena e alle pulizie del centro. La mia esperienza con l’orto ci ha portati a partecipare ad un tirocinio del Comune come custodi del bello cioè nella pulizia dei giardini pubblici e del decoro urbano. Ma l’esperienza lavorativa che mi ha veramente colpito è stato come venditore di Scarp De tennis. Quando Andrea (il coordinatore dei nostri centri di accoglienza) me lo ha proposto sono stato subito entusiasta; sono molto religioso e mi piaceva l’idea di lavorare per un giornale di strada seguito dalla Caritas Ambrosiana.
 
Ora Mario hai una nuova casa
Si e per fortuna si trova un po’ fuori dal centro e ha anche un piccolo pezzo di terreno dove posso rifare l’orto, mia passione oltre a leggere i saggi storici o politici e seguire gli eventi culturali che Milano offre.
 
Se ti chiedessimo di definirti con un aggettivo?
Perseverante: se mi appassiona qualche cosa la porto sicuramente a termine. Non rimpiango le occasioni perse o le avversità della vita perché sono emozioni che portano a una forma di distacco dalla quotidianità mentre io cerco sempre nuovi modi per usare la mia testa e il mio tempo.
 
E se ti chiedessimo di definire Cena dell’Amicizia?
Penso che il vostro punto di forza sia la responsabilizzazione della persona per farla uscire dalla disillusione verso la vita nata dalle difficoltà incontrate. Anche la convivenza con persone diverse da me per cultura e storia mi ha aiutato a crescere e i laboratori di arteterapia mi hanno insegnato ad essere più empatico.
 
Mario, hai paura di soffrire di solitudine tornando a vivere da solo?
Non penso, non temo la solitudine. Inoltre la casa si trova in una corte con altri appartamentini gestiti dal Don che ha ristrutturato la cascina e poi ci sono gli amici di Scarp de tennis e di Cena dell’Amicizia che, ne sono certo, non perderò mai.

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